Il 30 aprile 1902 andava in scena per la prima volta l’opera di Debussy. Aveva una lunga storia alle spalle.
Si racconta che una sera dell’estate del 1892, mentre faceva una passeggiata sul Boulevard des Italiens, Debussy avesse trovato al primo piano della Libreria Flammarion un libricino appena pubblicato, Pelléas et Mélisande, dramma in cinque atti di Maurice Maeterlinck. Lo comprò e lo lesse quella stessa notte. L’opera andava in scena dieci anni dopo.
Nei lunghi anni in cui era stato impegnato nella composizione, Debussy aveva dato vita ad un’opera destinata a lasciare una profonda traccia nella storia della musica. I suoi amici la aspettavano da tempo, con ansia e trepidazione, quando venne presentata al pubblico tutti si avvidero che non solo appagava le aspettative degli amici e dei musicisti che più gli erano vicini, ma quell’opera realizzava le aspettative di una intera generazione.
Nulla che si fosse già visto, già ascoltato. Tutto era diverso. La storia, innanzitutto, che non era un libretto, ma un testo teatrale, e Debussy lo metteva in musica con pochissimi tagli. Se Debussy era alla ricerca di un testo in grado di ispirargli un’opera ora lo aveva trovato. Ce lo racconta lui stesso in un articolo scritto su richiesta del Segretario Generale dell’Opera Comique, prima della prima rappresentazione.
L’articolo si intitola : “Perché ho scritto Pelléas”.
Da molto tempo, racconta Debussy, cercavo di fare musica per il teatro, ma la forma che volevo darle era così insolita che dopo vari tentativi avevo quasi rinunciato…Volevo dare alla musica una libertà che essa contiene forse più di tutte le altre arti, poiché non si limita a una riproduzione più o meno esatta della natura, ma si allarga alle corrispondenze misteriose tra la natura e l’immaginazione… Il dramma di Pelléas mi sembrò mirabilmente adatto al mio scopo.
In effetti già nel 1889 Debussy sosteneva che “il poeta dei suoi sogni avrebbe dovuto essere colui che diceva le cose a metà, e gli avrebbe permesso di innestare il proprio sogno sul suo, un poeta che avrebbe ambientato la storia in un luogo ed in un tempo vago e indefinito. La musica fin dalle battute introduttive avvia un andamento fluttuante, e fin dal principio compaiono i temi che poi accompagneranno i personaggi lungo tutta l’opera. Il sipario si solleva e sulla scena c’è una giovane donna, una ragazza, Mélisande, al bordo di una fontana. Entra un uomo, il principe Golaud, nipote di Arkel, il vecchio re di Allemonde.
Si è perso in un intrico di foglie e arbusti nella foresta, mentre era a caccia. E’ incerto, non sa che fare, vede la ragazza, la sente piangere e si avvicina. Melisande non rivela nulla di sé, viene da lontano, dice, da dove non sa, il principe è attratto dal mistero di questa ragazza, vorrebbe portarla con sé e la convince a seguirlo, ma si è perduto anche lui nell’intrico dei rami o forse, trovandoci noi in un’opera simbolista, la foresta è la vita stessa e l’uomo, come già scriveva Dante, si trova nel mezzo, con tutti i turbamenti e lo smarrimento dell’età.
La seconda scena, ci porta a sei mesi dopo. Melisande ha accettato di diventare la moglie di Golaud e questi ha scritto una lettera al fratello Pelléas, perché annunci al re l’avvenimento. Aspetterà da lui un segnale che la notizia è stata accolta con favore e sarà una luce accesa in cima alla torre del Castello. Una fiamma che si veda dal mare perché è dal mare che gli sposi stanno per arrivare. Incaricata di leggere al vecchio re Arkel la lettera inviata da Golaud a Pelléas è la madre dei due principi, Geneviève. A Geneviève, mezzo soprano, Debussy affida dunque il primo lungo momento solistico, una declamazione musicale stretta attorno al ritmo delle parole e molto intensa, dal sapore vagamente medievale. Con la lettera arriva la prima immagine di Melisande, oggetto del desiderio innocente ed enigmatica, fragile e pervasa da una tristezza che fa male, perfino a Golaud, che l’ha sposata ma non la conosce.
La prima dell’opera a Parigi vide la presenza di due partiti contrapposti, i wagneriani intenzionati a far cadere l’opera e gli “Apaches”, i difensori, tra cui c’era anche Ravel. Quelli che venivano definiti Apaches erano un gruppo di compositori, intellettuali, pittori e scrittori che si riunivano il sabato sera. Avevano un proprio inno, che era l’inizio della Seconda Sinfonia di Borodin, e ognuno di essi aveva un soprannome. Avevano iniziato a riunirsi intorno al 1900. Il nome Apaches l’aveva scelto il pianista Ricardo Vines, significava più o meno “canaglie”, e si consideravano artisti di battaglia, pronti sempre a prendere le difese di ciò che sembrava loro importante. Quella sera si rivelarono la forza maggiore e in breve Pelléas divenne un’opera di culto, con i suoi devoti ammiratori inebriati dal suono e dal mistero di quell’opera.
Il direttore d’orchestra quella sera era André Messager e il regista Albert Carré, il direttore artistico dell’Opera Comique. La prima Melisande fu Mary Garden, soprano inglese dalla voce, diceva Debussy, “dolce e insinuante” e che divenne un mito tra le dive di inizio secolo. Pelléas era Jean Perier, che era un baritono leggero, e Hector Dufranne, basso-baritono era Golaud. Le scene di Lucien Jusseaume erano ispirate alla pittura inglese dei preraffaeliti, sontuose e arcaiche. I personaggi evocavano dame e cavalieri di leggende nordiche medievali, erano immersi nella natura quasi ne fossero un’espressione essi stessi. Boschi, foreste, giardini lussureggianti e fontane, e un vasto lago illuminato dal chiarore della luna.
L’atto secondo si apre ancora una volta con una fontana, nel parco del castello, dove arrivano Pelléas e Mélisande. La musica si modella su una scena in cui tutto è vago e indefinito, le stesse azioni dei protagonisti non hanno ragioni apparenti. L’orchestra è pervasa di vibrazioni in un ambiente in cui tutto è sfaccettato, ci sono fuggevoli riflessi di luce e un recitativo, quello di Pelléas, che è spontaneo e seducente allo stesso tempo.I due giovani parlano. Pelléas racconta che la fontana è una vecchia fontana abbandonata di cui nessuno ha mai visto il fondo. E’ chiamata la fontana dei ciechi, perché la sua acqua è considerata miracolosa e capace di aprire gli occhi ai ciechi. La cecità forse è quella dei due giovani che ancora non conoscono i loro sentimenti, o forse è quella di Golaud che nulla può immaginare. Pur non essendo in scena Golaud è presente, perché Melisande mentre racconta a Pelléas il suo primo incontro con Golaud, appunto, gioca con l’anello da sposa mentre immerge le mani nell’acqua. E lo perde. L’anello cade in acqua e non c’è modo di riprenderlo.
Golaud, che finora ha mostrato un atteggiamento paterno nei confronti di Mélisande, cade in preda ad una ira furibonda quando viene a sapere che l’anello di nozze è perduto. “Preferirei perdere tutto piuttosto che aver perso quell’anello” così la costringe ad andarlo a cercare là dove ella dice di averlo perso, in una grotta. Lei gli dice che ha paura, lui la invita a chiamare in suo soccorso Pelléas, farà tutto quello che gli chiedi, dice Golaud e conclude “non dormirò se non riavrò il mio anello”. E’ il destino dunque a condurre i due giovani in quella grotta, immersa nelle tenebre, in cui Mélisande ha detto, mentendo a Golaud, di aver perduto l’anello.
E’ tutto un alternarsi di ombre e di luci in quest’opera, l’ombra in cui si rifrangono le inquietudini dei protagonisti e la luce che sempre cercano, la clarté, Maeterlinck usa spesso questa parola, che è luminosità, chiarezza, trasparenza. La clarté e la limpidezza della musica arrivano al principio del terzo atto, con Melisande che canta alla finestra, mentre si pettina i capelli. In quel castello dove ha incontrato l’amore di Pelléas e presto anche la gelosia di Golaud, Melisande è sola con il suo mistero. Talmente inafferrabile ed enigmatica che Debussy confessava già nel 1894, quindi solo un anno dopo aver intrapreso la composizione dell’opera: “Ho passato intere giornate a inseguire quel niente di cui è fatta Melisande”.
Pelléas sta facendo il cammino della ronda e la vede. E’ una notte calda, piena di stelle, sembrano lontani i due giovani, ma ormai non lo sono più. Se Melisande è nella sua stanza e Pelléas sotto la sua finestra allora saranno i capelli di lei a sciogliere la distanza. Il ragazzo le anuncia che deve partire, e vuole sfiorarle la mano per un’ultima volta. Mentre lei si sporge i capelli le cadono in tutta la loro celebre lunghezza e arrivano a lui, che inizia con essi un duetto d’amore fatto di gesti, baci, carezze e profumi.
Il cuore dell’opera è occupato dalla scena della discesa di Pelléas e Golaud nei sotterranei del castello, dove nel fondo buio è collocata una vecchia cisterna d’acqua. Debussy ci porta nel più profondo dell’orchestra, le tenebre avvolgono tutto e tutti, con una musica dominata dalla scala per toni interi e armonie senza colore. Nell’animo di Golaud sta affiorando un oscuro sentimento di frustrazione e di incertezza. E’ già la gelosia? Ci chiediamo. E scendiamo con loro. Preso dall’angoscia di quelle tenebre Pelléas vuole uscire. Ed è qui che arriva un lungo crescendo dell’orchestra che accompagna la risalita dei due uomini. La luce riappare e con essa i flauti, gli oboi, le trombe che felicemente tornano ad un mondo di radiose armonie tonali.
Pelléas et Melisande di Maeterlinck era diventata una pièce teatrale di grande successo, ed era andata in scena a Parigi nel maggio del 1893. Il leggendario passato medievale in cui pare essere ambientata potrebbe vagamente far pensare alla leggeda di Tristano, con la differenza che il mondo di Pelléas è interamente creato da Maeterlinck, non ha le sue radici in un passato mitico o storico o letterario. Tristano è un eroe presente nella letteratura medievale fin dal 12° secolo, ma la sua leggenda sembra appartenere alla tradizione nordica da molto prima dell’anno mille.
Pelléas et Mélisande è un’opera moderna, che seppure riprende il tema dell’amore e della morte, dell’amore forse colpevole, forse inevitabile, lo declina con una visione simbolista impalpabile ed enigmatica. I sentimenti raramente sono espressi con chiarezza, ma ne vediamo solo le ombre, il riflesso. Venne recensita con successo. Semplice e geniale, scrisse Mirabeau, e fu paragonata alle opere di Shakespeare. Lo stesso Mallarmé non esitò a scriverne con ammirazione. E fu proprio Mallarmé a vederne le qualità musicali. Una variazione sull’ammirevole vecchio melodramma, un’arte in cui tutto diventa musica, scrisse.
Debussy chiese a Maeterlinck l’autorizzazione a comporre e lo scrittore ne fu felice. Solo più tardi tra i due sorse una querelle a proposito della cantante che avrebbe dovuto interpretare Melisande.
Tra i personaggi dell’opera ce n’è uno che era assai caro a Debussy, ed è il vecchio re Arkel, interpretato da un basso, che possiede, diceva Debussy, quella tenerezza disinteressata e profetica propria di chi è vicino all’ora della morte. Arkel comprende l’innocenza imprudente e lo smarrimento dei giovani, ed ha compassione della frustrazione di Golaud. A lui Debussy affida un “arioso” in cui il vecchio signore racconta a Mélisande la sua visione del mondo e la sua voce, in tutta la seconda parte dell’opera sarà una voce di saggezza profondamente umana. Giovinezza e bellezza non possono che condurre a momenti lieti, dice, a questo punto forse sognando la propria giovinezza.
Debussy iniziò a comporre. La prima scena a cui lavorò pare fosse il passaggio in cui Pelleas dopo che Mélisande gli ha sussurrato che lo ama, parla della voce di lei come di una brezza che ha sfiorato il mare a primavera. Il mare, la voce di lei, il risveglio della natura, i tre temi luminosi dell’opera sono stati i primi ad essere affrontati. L’acqua sembra essere il principio e la fine della vicenda, la grande acqua silenziosa, il silenzio stesso fatto materia. Il lato oscuro verrà e ci sarà anche quello, il ritmo inesorabile della fatalità, che si richiuderà sulla vicenda riportando il silenzio.
Il più giovane dei protagonisti dell’opera è Yniold, il figlio di Golaud, nato dal precedente matrimonio. E’ interpretato da una voce di soprano. In una celebre scena Golaud se lo mette sulle spalle perché osservi da una finestra Pelleas e Melisande mentre chiacchierano in una stanza del castello.
Il ragazzo è anche quello che ci porta l’ultimo momento di totale spensieratezza. In realtà non accade nulla, semplicemente un gioco infantile, una parentesi lieta tra la confessione d’amore di Melisande a Pelléas, nella notte in cui avebbero dovuto scambiarsi l’ultimo addio, e il dramma di Golaud che li scopre e folle di gelosia uccide Pelleas.
Forse anche qui, nell’universo simbolico di Maeterlinck e Debussy, la pietra pesantissima che Yniold deve sollevare per recuperare la sua palla è già una premonizione di quel destino, in cui Pelleas giacerà in fondo alla fontana dei ciechi, a Golaud resterà l’ingrato ruolo di colui che sopravvive e Melisande, che prima di morire dà alla luce una bambina, torna a quel mondo imperscrutabile cui forse è appartenuta da sempre.
Non ho la pretesa di aver scoperto tutto con Pelléas, scrive Debussy in conclusione del suo articolo, ma ho tentato di aprire un cammino che forse altri potranno seguire…>> Aveva cercato quella che già aveva definito la collaborazione misteriosa fra l’aria, il movimento delle foglie, il profumo dei fiori e la musica. Posso sbagliarmi, aveva detto, ma mi pare che in questa idea ci sia materia di sogno per le generazioni future.