Quando Heinrich andò a trovarli da Nizza, lo incuriosì il numero di esuli che vivevano a Sanary. Spesso si svegliava presto e andava in centro per prendere i giornali e vedere chi bazzicava i caffè. Quando Thomas e Katia scendevano a fare colazione, lui aveva tutte le notizie fresche di giornata. Mentre Thomas era convinto che quasi tutti i tedeschi di Sanary, inclusi Brecht, Walter Benjamin e Stefan Zweig si incontrassero semplicemente per brontolare in piacevole compagnia, Heinrich diceva che con loro discuteva di arte e di politica.

Sembra il racconto di una vacanza, invece è la storia di una fuga, la fuga di tanti intellettuali, scrittori, poeti, musicisti tedeschi costretti dal regime di Hitler a lasciare il proprio paese e cercare rifugio in Francia. Il luogo, sulla costa francese che da Tolone va verso Marsiglia, si chiama Sanary. E’ un borgo all’apparenza molto piccolo, conservato quasi intatto nel tempo. Qui la vita non sembra essere cambiata molto, dalla metà del secolo scorso. Poche case raccolte attorno al municipio e un porto che si fa guardare per le tantissime barche di pescatori, che i francesi chiamano pointus. Sono gozzi coloratissimi in legno, eredi della antica tradizione marinara ligure e napoletana, armate con vela latina, e ancora più in là nel tempo la tradizione è quella araba.
Per chi arriva a Sanary, proprio in centro, accanto all’ufficio del turismo, si trova una targa commemorativa dove sotto il titolo Sanary, capitale dell’esilio artistico e letterario si trovano 68 nomi di scrittori tedeschi, filosofi, giornalisti, pittori. L’elenco inizia con il filosofo di Ludwigshafen Ernst Bloch e termina con il viennese Stefan Zweig. Una precedente testimonianza portava scritto “Agli scrittori tedeschi e austriaci con i loro parenti e amici, che in fuga dalla presa del potere del nazionalsocialismo si incontrarono a Sanary”. Quel primo impegno a ricordare era stato voluto da un soldato della Wehrmacht, Hannsferdinand Döbler e da un francese che si chiamava Barthélemy Rotger. Era stato combattente nella resistenza francese durante la seconda guerra mondiale e, andato in pensione, era diventato storico, e iniziò ad interessarsi alla storia della sua città. I suoi studi si conclusero con il libro Qui se souvient encore des émigrants de Sanary-sur-mer?
Sanary è lo sfondo di una storia sorprendente, ma facciamo un salto indietro. Le cittadine del sud della Francia avevano già conosciuto altri esodi, prima i pittori alla ricerca della luce e dei colori, poi i turisti. Gli stranieri venivano a trascorrere l’inverno in Francia, chi per motivi di salute chi per allontanarsi da città troppo affollate e troppo rumorose, si trattava per lo più di inglesi e americani. Sanary però si trova in quello che prima della guerra era il tratto meno alla moda della Costa Azzurra, qui la vita era più economica rispetto Nizza e Cannes e a quei dintorni che hanno fornito l’ambientazione per molti romanzi. Proprio per questo gli artisti quando non trovavano più ispirazione nell’atmosfera ovattata di Parigi salivano su un treno notturno e si svegliavano sulla costa, dove la luce era più forte e più calda. Questo scrivevano Erika e Klaus Mann, i due figli maggiori di Thomas, in un libro che si intitolava Das Buch von der Riviera. Avevano unito l’utile al dilettevole e dopo un soggionro a Sanary nel 1930 avevano scritto insieme un libro che voleva essere anche una guida per chi fosse interessato a tutto quello che “non si trova sul Baedecker”, almeno così la pubblicizzava l’editore Piper Verlag nel 1931. Naturalmente il fatto di essere i figli del più celebre autore tedesco del momento e nipoti del vituperato francofilo Heinrich, aveva aperto loro molte porte e una parte di quella loro vita è riportata nelle pagine del libro dove non si limitano a consigliare bar e ristoranti, ma condividono, in tono abbastanza colloquiale, i loro incontri con i personaggi del mondo letterario del momento.
Tra i letterati che si stabilirono nella zona, uno dei primi nomi che troviamo è quello di Catherine Mansfield, che arrivò a Bandol, distante solo un chilometro da Sanary, nell’inverno del 1915/16 e ci rimase tre mesi, e furono tre mesi deliziosi, in una villa affacciata sul mare da un poggio assolato, dai muri rosa e dalle persiane acquamarina, con il tavolo tondo per il tè all’aperto. Qui lei poté dedicarsi alla biografia di Fjodor Dostoevsky. Fece ritorno nel 1918, ma le cose non andarono altrettanto bene: il clima era orribile, la guerra aveva cancellato gran parte delle vita, i negozi erano chiusi e gli alberghi non avevano riscaldamento. Nella baia erano ancorati un cacciatorpediniere e due U-Boat: uno scenario assai poco rassicurante. Nonostante la delusione Katherine Mansfiled scrisse una poesia: Sanary.
Dalla sua calda stanza dominava la baia/Attraverso i fusti delle palme lucenti/ Là nell’ardore del sole desiderava giacere/La bruna testa sul guanciale delle braccia/ Tenue e immobile da non pensare/ Sentire e nemmeno sognare/ All’ora morta nessuno passa/ Laggiù nella strada polverosa/ Un profumo stremato di mimosa/ Langue nell’aria, ma dolce – così dolce.
A raccontare con entusiasmo degli incantevoli borghi di Bandol e Sanary era stato un amico di Katerine Mansfield, David Herbert Lawrence, che anche lui aveva cercato riparo dalla tubercolosi, a Vence, tra Nizza e Antibes. Tra coloro che erano venuti a fargli visita c’era scrittore-filosofo inglese Aldous (oldus) Huxley, che con la moglie rimase vicino a Lawrence fino alla morte. Gli Huxley abitavano in Italia, ma con il fascismo il paese non era più così attrattivo come invece sembrava essere la Francia, la patria della libertà. Decisero di stabilirsi anche loro sulla costa e scelsero Sanary. Grazie al successo del romanzo Punto contro Punto avevano una notevole indipendenza economica così decisero di prendere una casa sulla collina di La Gorguette. La villa era un luogo per vivere, ma anche per meditare, leggere, studiare e scrivere. Aldous amava la solitudine e nei tre mesi dell’estate del 1931 diede vita al suo romanzo più celebre, Brave new World. Parlando con l’amico scrittore e giornalista René Schickele, Huxley disse “Come Eva è nata dalla costola di Adamo, così l’uomo nuovo uscirà dalla costa azzurra”. Era dunque in questo ambiente arcadico, dove il solo disturbo può venire dal frinire ossessivo delle cicale, che immaginò il suo romanzo distopico destinato a regalargli la fama assoluta. Una società di caste governata dalla casta alfa, in un sistema sociale dove tutto è regolato, dalla manipolazione degli embrioni e l’indottrinamento dei neonati al condizionamento della gratificazione permanente attraverso il costume, il sesso e la droga.
Gli Huxley erano una coppia generosa e accogliente. La loro Bugatti rossa era molto conosciuta a Sanary e nella loro casa venivano scrittori e intellettuali, come Paul Valéry e Edith Wharton. Presero sotto la loro ala protettrice la giovane Sybille von Schoenebeck. Sybille, che fin da bambina sognava di diventare una scrittrice, nutriva un’incrollabile ammirazione per Aldous, il suo idolo. E’ lei una dei più affidabili cronisti di quegli anni a Sanary, insieme a Ludwig Marcuse. I francesi in verità non si curarono troppo dell’uomo di successo, anzi chiamavano distrattamente la famiglia gli “Uelex”, e non impararono mai davvero il loro nome.
Quando nel 1958 Huxley tornò a riflettere sul suo Mondo Nuovo, si rese conto che molte delle sue catastrofiche previsioni del 1932 si erano avverate prima del tempo.
Il 1933 fu un anno terribile. Con la presa del potere di Hitler, l’incendio del Reichstag nel mese di febbraio, quello dei libri subito dopo e l’inizio della privazione della cittadinanza agli oppositori politici, nonché la legge che licenziava tutti i docenti universitari di origine ebraica. La situazione era precipitata, la politica e la vita erano diventate terribilmente incerte. L’intera repubblica di Weimar degli artisti si era messa in fuga, nell’elenco delle persone arrivate a Sanary quell’anno si leggono oltre ai nomi che abbiamo citato anche quelli di Bertold Brecht, Lion e Maria Feuchtwanger, della pittrice ceca Genia Ines, del matematico Emil Julius Gumbel, di Erich Klossowsky, il grande storico dell’arte padre del filosofo Pierre Klossowsky e del pittore Balthus, la scrittrice Annette Kolb, perseguitata per le sue idee pacifiste, il filosofo Ludwig Marcuse, del drammaturgo Ernst Toller e la moglie, l’attrice Christiane Grautoff, lo scrittore Arnold Zweig. La tranquilla cittadina era diventata in una notte il centro dell’intellighenzia tedesca. Ludwig Marcuse, nel suo libro Il mio Novecento parla ancora di altri esiliati tedeschi che si trovavano in altre cittadine della regione del Var, a Bormes Les Mimosas o Le Lavandou, che negli anni Venti era stata residenza di Cocteau e Raymond Radiguet. Il più conosciuto fra tutti quegli intellettuali era senza dubbio Thomas Mann, premio Nobel per la Letteratura nel 1929, il quale non aveva ancora preso apertamente le distanze dal regime hitleriano, ma si era allontanato dalla Germania.
Il Mago, come lo chiamavano in famiglia, arrivò a Sanary nel mese di maggio del 1933. La fuga era stata una sorpresa. Lo scrittore si trovava in tournée per una serie di conferenze celebrative in occasione del 50.° anniversario della morte di Richard Wagner. Amsterdam, Bruxelles e Parigi erano le sue tappe. Lui e la moglie Katia si trovavano dunque all’estero quando gli accadimenti politici trasformarono il volto della Germania. Erika e Klaus, i figli maggiori, consigliarono ai genitori di non fare ritorno in patria. E’ vero che lo scrittore non correva un pericolo immediato ma il fratello Heinrich invece era uno dei primi nomi sulla lista nera dei nazionalsocialisti e questo avrebbe potuto indurre il regime a prendere in ostaggio Thomas per arrivare a lui. Lo scrittore prese dunque sul serio il consiglio dei figli e scrisse all’amico René Schickele, scrittore di padre tedesco e madre francese, anche lui a Sanary in quei giorni:
“Che strano! Lasci il tuo paese per parlare di Richard Wagner ad Amsterdam e a Parigi, e quando vuoi tornare, il paese ti è sfuggito”. Quel giro di conferenze si era trasformato in esilio, e non era neppure permesso pensare se volevano emigrare volontariamente o no, disse la figlia Erika. Ma il viaggio fu lungo e tormentato, ci furono undici tappe in quel primo tratto di esilio. Prima ci fu Lugano a casa di Herman Hesse. Lì Mann ricevette la risposta dell’amico poeta e pacifista René Schickele, che gli sconsigliava il Sud Tirolo, perché era una regione problematica, per la forte presenza di popolazione tedesca, dunque era meglio la Francia, Sanary. Era il posto ideale, scriveva, anche per poter lavorare senza essere disturbati dai propri connazionali: “A Sanary ci sono tedeschi, ma pensano solo a prendere il sole, la maggior parte di loro non li conosciamo e quelli che conosciamo non li vediamo”.
A Sanary i Mann abitarono in una villa che si chiamava La Tranquille. C’era anche una domestica. All’inizio le cose non furono facili. Scrisse all’amico Alfred Neumann: “Devo vergognarmi: Ho con me mia moglie e i miei figli e i libri necessari; l’atmosfera è estremamente amichevole e non mancano piacevoli segni di simpatia. Tuttavia, la stanchezza dei miei nervi si manifesta nella pigrizia e nella riluttanza dello spirito, che in ogni mattino luminoso ha la meglio sulla buona volontà di andare avanti dopo poche righe”.
Alla fine il cambiamento avvenne. Thomas Mann, che di solito si lamentava di tutto e di tutti, sembra aver trovato la tranquillità. C’è persino una fotografia che lo ritrae al luna park di Sanary, in camicia bianca, su un finto dirigibile su cui sta scritto Parigi/Saigon. Nella fotografia alla sua sinistra c’è il figlio Golo, Anna Schickele e Anna Meier Graefe, alla sua destra Julius Meier Graefe, Katia Mann, e la cugina Ilse Dernburg e Erika Mann abbronzatissima con un sorriso smagliante.
Nella sua autobigrafia la terza figlia di Mann, Monika, descriverà quel periodo come un “intermezzo mediterraneo”. La vita di prima non esisteva più, non c’erano teatri né concerti né tantomeno teatri d’opera. Non c’erano viaggi e i giri di conferenze.
Thomas Mann poté finalmente mettersi a lavorare al suo vasto progetto della Tetralogia di Giuseppe e i suoi fratelli, che gli era stato ispirato da un viaggio in terrasanta nel 1925. Come il suo Giuseppe anche Mann era un profugo. Sanary iniziò a sembrargli la tappa più felice degli ultimi mesi e la definì il “centro spirituale dell’emigrazione”.
Una scrittrice francese Helène Parmelin nella sua autobiografia racconta di averlo incontrato a passeggio sulla spiaggia di Portissol e quando l’autore della Montangna incantata ricambiò il saluto e le strinse la mano considerò la cosa un fatto memorabile.
A Sanary erano abituati ai turisti, dunque quando si insediò la nuova colonia degli esiliati la popolazione non si fece troppe domande. Infine non era interessante sapere da dove venissero o cosa pensavano, né tantomeno quale fosse il loro destino. Molti tra gli esiliati non erano affatto in buone condizioni economiche. Ludwig Marcuse parlò di sei felici anni infelici, quando poterono nutrirsi di quelle verdure e frutta che sui banchi del mercato sfoggiavano i loro colori, per un momento scacciavano le ombre dalla loro vita. “Tutto era azzurro, tranne la nostra mente. Eravamo in paradiso, per forza”.
Accanto a coloro che faticavano a trovare le risorse per vivere c’erano letterati milionari. Tra i milionari c’erano Thomas Mann, Lion Feuchtwanger e Franz Werfel, autori pubblicati e tradotti in molte lingue, che dopo l’avvento del nazismo erano riusciti a spostare parte del loro patrimonio dalla Germania o dall’Austria in modo da poter vivere indipendentemente dalla sorte delle loro opere in quel momento.
Ma il primo in assoluto che si era trovato suo malgrado a fuggire davvero dalla Germania fu il critico d’arte Julius Meier Graefe, che abbiamo già visto immortalato sul dirigibile da luna park. Era arrivato in Francia in cerca di una situazione tranquilla dove poter vivere indisturbato il suo terzo matrimonio con la pittrice Anne Marie Epstein e immergersi nei paesaggi che tante volte aveva raccontato parlando dei suoi pittori prediletti, Cezanne e van Gogh. La coppia era sistemata a Saint Cyr, ad una quindicina di chilometri da Sanary. Quella che era stata una scelta esistenziale si era trasformata di punto in bianco in esilio e la loro villa La Banette fu per molti esuli il primo punto di riferimento nel mezzogiorno. Così fu per Eric Klossovsky, Walter Bondy e René Schickele. Graefe era noto alla cerchia degli amanti dell’arte, perché era stato il primo ad offrire una visione complessiva dei movimenti artistici contemporanei con il suo libro Storia dello sviluppo dell’arte moderna. Era già stato sulla costa per il libro intitolato Vincent e aveva scritto: “La cosa che mi ha colpito è come davvero indefinibile sia la luce, che non offusca come nella morbida aria parigina, ma dà ad ogni dettaglio forme perfettamente definite”. Ma quella era arte degenerata, dunque con l’avvento del nazismo il suo buen retiro divenne un esilio non solo per l’origine ebraica delle famiglie, ma per gli interessi culturali che aveva coltivato tutta la vita.
Grazie a Julius Meier-Graefe arrivò in Francia anche Walter Bondy, gallerista, collezionista, critico e ritrattista, che trovando la Svizzera troppo cara aveva pensato di stabilirsi a Mallorca. Però durante il viaggio si era fermato a Saint Cyr a salutare Graefe. Si erano visti spesso a Parigi prima della Prima Guerra, di solito al ritrovo abituale degli artisti, il Café du Dôme. Bondy era rimasto legato all’atmosfera dei caffè dunque non poteva immaginare per sé la vita ritirata dei suoi amici. Scelse di fermarsi e si trasferì a Sanary dove i caffè c’erano. C’era il Café de Lyon, dove si giocava a scacchi, che Ludwig Marcuse chiamerà il caffè dei residenti, e il Café de la Marine, o Chez Schwob, che era invece il ritrovo degli straneri. Al Café de Lyon Bondy conobbe la sua futura giovanissima compagna Camille Betron, fotografa, e divenne fotografo anche lui. Insieme fecero ritratti di tutti gli amici e conoscenti in esilio a Sanary o nelle vicinanze. Aprirono un laboratorio sul porto e la collezione delle 3670 fotografie di quegli anni è entrata ora nella raccolta della biblioteca di Tolone.
Il Café Chez Schwob, ora si chiama Le Nautique. Il proprietario, Schwob, era un alsazionano. Raccoglieva le notizie che arrivavano dalla radio e teneva al corrente gli esuli che si riunivano ai tavoli del suo locale. I giornali tedeschi non arrivavano a Sanary. Quell’uomo di corporatira enorme parlava sia il francese che il tedesco e da dietro il banco, mentre vendeva le sigarette o versava la limonata lo si poteva sentir citare Heine o Descartes con la stessa disinvoltura. Ancora oggi qualcuno tende l’orecchio per ascoltare quelle voci in sordina parlare di politica e di letteratura.
Ci furono dei giorni in cui l’argomento di conversazione parve essere uno solo, la disavventura che era occorsa a Franz Werfel, il terzo marito di Alma Mahler. Alma era arrivata a Sanary nel 1938, quando ormai considerava finito anche quel suo terzo matrimonio. Era stata amante del pittore Oscar Kokoschka che ne aveva fatta la sua “Sposa del Vento”. Aveva poi divorziato dall’architetto Walter Gropius e sposato lo scrittore Franz Werfel, che non riuscì mai a comprendere l’antisemitismo della moglie. Il destino però li chiamava a restare insieme.
Come tutti i docenti ebrei anche Werfel era stato costretto a lasciare la sua cattedra all’Accademia delle Arti di Berlino, i suoi libri vennero bruciati e dovette fuggire. A Sanary la coppia abitava un antico mulino dove Werfel aveva uno spazioso studio con finestre che guardavano il mare e la montagna. Quando le autorità decretarono il coprifuoco, Werfel era entrato ugualmente nel suo studio alla ricerca di un manoscritto che voleva rileggere. Avendolo visto muoversi in casa con una torcia le autorità l’avevano accusato di spionaggio. Ormai la tolleranza verso gli stranieri era finita, si era nel 1939, e lo scrittore Alfred Kantorowicz perse il suo proverbiale ottimismo: “ormai non ci vedono più come prima, l’atteggiamento dei francesi verso di noi è cambiato”. E così la grande comunità dei tedeschi si preparò ad emigrare ancora una volta. Ma i tempi davvero bui dovevano ancora venire, soprattutto per Lion e Marta Feuchtwanger.
Lion Feuchtwanger erede di una ricchissima famiglia ebraica era un drammaturgo molto conosciuto, divenuto celebre fuori della Germania con il romanzo Suss l’ebreo. Era grande amico di Bertold Brech. Aveva riconosciuto subito il pericolo delle idee hitleriane e fin dagli anni Venti aveva previsto i roghi dei libri e moltitudini di gente ridotti a scheletri umani. Nel 1932 andò in Inghilterra e poi negli Stati Uniti per un ciclo di conferenze e non gli fu più possibile tornare in Germania. La sua dichiarazione Hitler significa guerra in un’intervista pubblicata dai giornali di Washington, così come la sua critica del libro Mein Kampf, l’avevano reso uno dei principali perseguitati del Terzo Reich e nemico giurato del Führer.
A Sanary i Feuchtwanger cambiarono diverse abitazioni, la più adatta al loro alto stile di vita fu Villa Valmer, dove rimasero dal 1934 al 1940. Al principio fu un’oasi divina, da cui lo scrittore si allontanava solo di tanto in tanto per andare con il treno notturno a Parigi a far visita agli amici.
“Quando al mattino, tornando da Parigi con il treno notturno, ho rivisto la costa azzurra, le montagne, il mare, i pini, gli ulivi che si arrampicano sulle colline, quando ho sentito di nuovo intorno a me l’accoglienza aperta della gente mediterranea, ho tirato un profondo sospiro di sollievo e sono stato contento di aver scelto questo paradiso per vivere.”
Ogni tanto la sera veniva in visita Bertold Brecht, amico con cui Lion condivideva la simpatia per il Partito Comunista. Con la sua immancabile giacca di pelle, con cui lo vediamo nel suo ritratto più celebre, Brecht amava esibirsi in Schnaderhüpfeln bavaresi, canzonature politiche in forma di epigramma, o canzoni proprie. Suonava la chitarra ed era accompagnato dall’amica e collaboratrice Margarete Steffin. In quelle sere si sentivano allora tutti legati alla poesia tedesca, anche se la Germania in quel momento quella poesia aveva ripudiato.
Lion Feuchtwanger erede di una ricchissima famiglia ebraica era un drammaturgo molto conosciuto, divenuto celebre fuori della Germania con il romanzo Suss l’ebreo. Era grande amico di Bertold Brech. Aveva riconosciuto subito il pericolo delle idee hitleriane e fin dagli anni Venti aveva previsto i roghi dei libri e moltitudini di gente ridotti a scheletri umani. Nel 1932 andò in Inghilterra e poi negli Stati Uniti per un ciclo di conferenze e non gli fu più possibile tornare in Germania. La sua dichiarazione Hitler significa guerra in un’intervista pubblicata dai giornali di Washington, così come la sua critica del libro Mein Kampf, l’avevano reso uno dei principali perseguitati del Terzo Reich e nemico giurato del Führer.
A Sanary i Feuchtwanger cambiarono diverse abitazioni, la più adatta al loro alto stile di vita fu Villa Valmer, dove rimasero dal 1934 al 1940. Al principio fu un’oasi divina, da cui lo scrittore si allontanava solo di tanto in tanto per andare con il treno notturno a Parigi a far visita agli amici.
“Quando al mattino, tornando da Parigi con il treno notturno, ho rivisto la costa azzurra, le montagne, il mare, i pini, gli ulivi che si arrampicano sulle colline, quando ho sentito di nuovo intorno a me l’accoglienza aperta della gente mediterranea, ho tirato un profondo sospiro di sollievo e sono stato contento di aver scelto questo paradiso per vivere.”
Ogni tanto la sera veniva in visita Bertold Brecht, amico con cui Lion condivideva la simpatia per il Partito Comunista. Con la sua immancabile giacca di pelle, con cui lo vediamo nel suo ritratto più celebre, Brecht amava esibirsi in Schnaderhüpfeln bavaresi, canzonature politiche in forma di epigramma, o canzoni proprie. Suonava la chitarra ed era accompagnato dall’amica e collaboratrice Margarete Steffin. In quelle sere si sentivano allora tutti legati alla poesia tedesca, anche se la Germania in quel momento quella poesia aveva ripudiato.
Il paradiso si trasformò a partire dal 1939. Per otto mesi dopo la dichiarazione di guerra dell’Inghilterra e della Francia al Reich Tedesco, in seguito all’invasione delle Polonia, la situazione rimase sospesa. Sebbene non ci fossero atti di guerra, durante questo periodo, per gli esuli la situazione era cambiata. Il 3 settembre 1939 il governo emanò un ordine ufficiale a tutti gli emigranti maschi di presentarsi entro tre giorni per la registrazione presso alcuni punti di raccolta istituiti nei rispettivi dipartimenti. Dopo la sconfitta dell’armata francese la cosiddetta Zona Libera, che corrispondeva all’incirca alla parte meridionale della Francia, era sotto il governo di Vichy. In questa zona libera c’erano campi di internamento dove vennero imprigionati molti degli intellettuali e artisti tedeschi che si trovavano in Francia. Per ben due volte Lion fu internato a Les Milles e Marta a Gurs. Racconta la sua vicenda in un testo autobiografico “Il diavolo in Francia”.
Nel 1940 però, quando un giornalista pubblicò una fotografia dello scrittore dietro al filo spinato nel campo di internamento di Les Milles, si mosse l’Emergency Rescue Committee, organizzazione fondata negli Stati Uniti e sostenuta dalla moglie del 32.° presidente americano Roosevelt. Eleanor chiamò il giornalista Varian Fry e lo mandò a Marsiglia. Lion venne aiutato a fuggire con Marta negli Stati Uniti. Con lui erano stati salvati la filosofa Hannah Arendt, il pittore Marc Chagall, Alma Mahler Werfel e il marito Franz, Heinrich e Golo Mann, e ancora altri altri.
Tra i dodici bagagli di Alma c’erano i manoscritti del Canto della Terra di Gustav Mahler e i primi tre movimenti della Terza Sinfonia di Bruckner; che Hitler avrebbe voluto acquistare. Gli esuli non riuscirono a salire sul treno per attraversare il confine francese in Spagna. Solo Fry aveva un visto di uscita e portò i bagagli, mentre Alma, Werfel, Mann e gli altri attraversarono a piedi i Pirenei e lo raggiunsero oltre il confine aiutati spesso dalla polizia francese. Alma aveva portato i manoscritti con sé, nella borsetta, per tutto il viaggio.