Anche voi amerete questi Lieder… Schubert – Winterreise

La storia delle interpretazioni della Winterreise cominciò il 10 gennaio 1828...

Franz Schubert – Winterreise

La storia delle interpretazioni della Winterreise cominciò il 10 gennaio 1828, quando il tenore Ludwig Tieze cantò Gute Nacht alla Gesellschaft der Musikfreunde di Vienna. Quattro giorni dopo appariva sulla Wiener Zeitung questo annuncio. <<Winterreise/ di/Wilhelm Müller/ Messo in musica per voce con accompagnamento/di pianoforte/ da /Franz Schubert.>>
I Lieder erano 12, la prima parte, e l’editore Tobias Haßlinger prometteva che questo volume sarebbe stato seguito da una seconda parte: “Il ciclo di canzoni, di cui la prima parte è ora presentata al pubblico, e la seconda parte seguirà il più presto possibile, è l’ultimo prodotto di un musicista giustamente apprezzato per le sue molte composizioni in questo campo. Non c’è poeta che non sarebbe felice di essere compreso così profondamente dal suo compositore, con una sensibilità così accesa ed una fantasia tanto ardita e solo grazie ad una musica infinitamente bella le morte sillabe vengono tratte alla vita…”
Sulla Wiener Zeitschrift für Musik il 7 giugno 1828 compariva una recensione: “Con molto piacere diamo qui l’annuncio di quest’opera bella e interessante, nella quale la genialità del musicista illumina con autentica solennità le meravigliose poesie del più nobile dei poeti.” Le iperboli stilistiche non si arrestano neppure quando il recensore prende brevemente in esame i Lieder, uno dopo l’altro. Gute Nacht si distingue per il suo carattere di profonda tristezza, che solo nelle ultime strofe si muta in una visione consolatoria, e risveglia tutto l’amore del poeta di fronte al sonno dell’amata. Die Wetterfahne è l’immagine della disperazione più acuta. Erstarrung il quadro della passione più accesa Der Lindenbaum un Lied pieno di sentimento, nel quale la pittura musicale ha davvero una parte stupenda. Quanto è sentita Die Wasserflut e Auf dem Flusse . E nel Rückblick l’accompagnamento prende una parte assolutamente meravigliosa. Semplice è invece l’accompagnamento di Das Irrlich e allo stesso tempo così ingegnoso, in Rast di grande effetto il passaggio in cui cambia… l’espressione, improvvisamente, e annuncia la tempesta del cuore in tumulto. Autenticamente romantico Der Frühlingstraum a cui si collega Die Einsamkeit pieno di malinconia e dolore.

Il 29 marzo di quello stesso anno sulla Wiener Allgemeine Theaterzeitung era già apparsa una recensione in cui veniva messa in luce l’identificazione tra la natura e l’anima del Wanderer:
“Müller è ingenuo, sentimentale e pone il mondo della natura in parallelo con lo stato d’animo appassionato, che dalla natura stessa coglie il colore e il carattere. Schubert ha tradotto in musica il suo poeta in maniera geniale, cosa che gli è propria. La sua musica segue l’ingenuità del poeta, egli sente profondamente i sentimenti espressi nelle poesie e li riflette nella sua musica, tanto che nessun cuore può ascoltare o cantare senza provare intima commozione. Lo spirito di Schubert ha uno slancio audace, nel quale trascina tutti coloro che gli si avvicinano, e che li trasporta lontano attraverso la smisurata profondità del cuore umano, laddove si solleva il velo su un presagio di infinito e la sua nostalgia, in un crepuscolo tinto di luce rosata, ma dove a questa tremenda felicità di un inesprimibile presentimento si unisce anche il dolore di un presente pieno di costrizioni, che rappresenta il limite dell’essere umano. Qui sta l’essenza dell’essere e dell’arte romantica tedesca, e in questo senso Schubert è davvero un compositore tedesco, che porta onore alla nostra terra e al nostro tempo. In questo spirito sono create queste poesie, in queste si esprime, anche dove la materia sembra portare su strade affatto diverse, e la più grande conquista di entrambi i poeti, quello che parla e quello che canta sta proprio in questa logica organizzazione dell’armonia dell’esterno e dell’interno.”

Apparvero poi altre recensioni, alcune si accordavano all’entusiasmo appena descritto, altre erano un po’ più tiepide, ma nessuna di esse potrebbe fornire un appoggio alla leggenda, infelice e smentita, dell’isolamento di Schubert nella società musicale viennese.

Eppure gli anni che avevano visto la nascita della Winterreise per Schubert erano stati anni pieni di tribolazioni. Joseph Spaun, suo amico e compagno di collegio anni più tardi scrisse: “Nella mia mente sono sicuro che lo stato di eccitazione nel quale ha composto la maggior parte dei Lieder e specialmente la Winterreise ha contribuito alla sua morte precoce”. Benché un’affermazione di questo genere in verità appartenga alla storia dello spirito romantico, con la visione del genio portato al limite dell’esistenza dall’intensità del suo spirito, l’inquietudine di Schubert era palese. Bauernfeld, drammaturgo e amico di Schubert, raccontò che nell’estate del 1827 per ben due volte il musicista gli aveva parlato del suo incerto stato d’animo a proposito del futuro. Anche il poeta Johann Mayrhofer, strettamente legato a Schubert per anni, scrisse sulla Winterreise: “Nella Winterreise …la scelta poetica indica già quanto l’animo dell’autore si fosse oscurato. Da lungo tempo ormai si era ammalato, aveva fatto esperienze negative e la vita aveva perso per lui il suo color di rosa; era iniziato l’inverno. L’ironia del poeta, che affonda le sue radici nella perdita di ogni consolazione, lo chiamava a sé, egli la imprimeva nelle sue note e nei suoi toni penetranti. Fui commosso fino alle lacrime.”

Forse a minare definitivamente la sua salute era stata la malattia per cui era stato ricoverato nel 1823. In quella circostanza aveva scritto all’amico pittore Leopold Kupelwieser: “Immagina un uomo la cui salute non tornerà mai più come prima e che per questo è portato a vedere sempre il lato peggiore delle cose, e mai il migliore; pensa ad un uomo che ha visto infrangersi le sue più dolci speranze, un uomo per il quale la felicità che nasce dall’amore e dall’amicizia si trasforma in mero dolore, mentre la bellezza svanisce davanti ai suoi occhi incapaci di fermarla. Forse che quest’uomo non è un meschino e disgraziato? Ecco le parole che posso ogni giorno ripetere poiché ogni sera, nel coricarmi, mi auguro di non svegliarmi mai più…”

Meine Ruh ist hin, mein Herz ist schwer

La mia pace è lontana, il mio cuore è pesante

(Goethe)

Secondo la testimonianza di Schober, intimo amico di Schubert in quegli ultimi anni, Schubert scoprà il ciclo nella sua biblioteca nell’autunno del 1826. Ma allora le poesie di Müller avevano già percorso un notevole pezzo di strada.
Johann Ludwig Wilhelm Müller era nato nel 1794 a Dessau, una cittadina fin troppo tranquilla a nord di Lipsia, un’oasi di querce dove si incontrano l’Elba e la Mulde. La sua casa non si trovava distante dal fiume, lungo il quale la città era stata costruita, ma forse non c’è bisogno di soffermarsi sull’unica strada che percorre la città, con i marciapiedi ad ogni lato e il fiume e le case ad un solo piano, con i tetti alti e spioventi. Tutte queste immagini di fanciullezza ritornano in Rückblick, in Erstarrung, in Auf dem Flusse, e ogni volta ricordano al Wanderer quella vita dolce e distratta che ormai è solo un ricordo troppo lontano. Non c’è più spensieratezza, mentre guarda indietro al tempo passato.
Lo spirito romantico di Müller, ben descritto dai tratti delicati che ritraggono un uomo spirituale e introverso nel quadro di Hensel (1822), è ricco delle immagini della letteratura germanica medievale, della poesia popolare, nonché di quel filoellenismo nel quale si rifugiarono i fautori della libertà dopo il fallimento del sogno napoleonico. Il “Byron tedesco”, come lo chiamavano, raccolse la maggior parte della sua produzione poetica in due volumi che portavano il lungo titolo di Siebenundsiebzig Gedichte aus den hinterlassenen Papieren eines reisenden Waldhornisten, il cui primo volume apparve nel 1820. Il secondo, dedicato a Carl Maria von Weber, “maestro del Lied tedesco”, nella sezione Tafellieder für Liedertafeln raccoglie l’ultima versione della Winterreise. Il ciclo infatti era stato composto in due momenti, il primo Wanderlieder von Wilhelm Müller.

Die Winterreise. In 12 Liedern. fu pubblicato nella rivista Urania alle pagine 207 a 222 del 1823. Questa fu sicuramente la pubblicazione che Schubert trovò tra i libri dell’amico Schober. I Lieder corrispondono alle 12 poesie pubblicate. Altri dieci Lieder furono pubblicati ancora nel 1823 e la versione definitiva nel Waldhornisten II, nel 1824.
Una delle caratteristiche principali di Wilhelm Müller è che aveva scritto quasi tutte le sue poesie pensando alla musica:

“non so né cantare né suonare, confessava, ma quando scrivo i miei versi canto e suono. Se potessi scrivere melodie le mie poesie piacerebbero assai più di quanto non facciano ora. Ma coraggio! Forse c’è uno spirito che mi è tanto simile da udire quelle melodie che stanno dietro le parole e me le restituirà”.

C’erano nelle sue poesie, diceva Müller, delle “melodie dormienti”, strettamente parlando, “per ogni melodia c’è solo un testo, e per ogni testo solo una melodia”. Ovviamente si riferiva all’arte nelle sue migliori manifestazioni. Certo era una convinzione dell’epoca, ma in Müller sembra qualcosa di più, una certezza: quella che solo la musica avrebbe saputo trarre le sue parole da quel limbo cui senza di essa sarebbero state confinate.
Eppure Müller non conobbe mai quella gleichstimmte Seele , e non venne mai a sapere che quel giovane viennese il quale già aveva musicato il suo ciclo della Bella Molinara, era la sua anima affine, e neppure Schubert seppe che il suo poeta aveva lasciato la terra, la notte del 30 settembre 1827. Forse anche lui morto mentre ancora lavorava alla Winterreise.
Nel tracciare la sua visione di questo “cammino verso l’interno”, come lo definiva Novalis, la musica di Schubert non somiglia affatto alla poesia, ma spesso la contraddice e la sovrasta, trovando nelle liriche di Müller lo spazio per una nuova e più profonda prospettiva interpretativa. La voce racconta la giovinezza, l’ardore, l’urgenza emotiva. Ma fin dall’inizio siamo messi in condizione di immaginare quale sarà la sorte di questo viaggio ai confini dell’anima che a tratti ci rivela il pulsare di una canzone popolare, e in altri momenti si spoglia di ogni colore per apparire bianca come il cielo d’inverno. Il corvo che volteggia in cerca di preda in un paesaggio dalle tinte orrendamente scure in Die Wetterfahne, il fiume che diventa gelido nemico, il gioco di luci e ombre tra i tronchi, e lo stesso alternarsi di sogno e realtà. Cade la neve, il vento soffia gelato, vengono immagini dal passato, il mondo ha perso ormai il suo equilibrio. La febbre somiglia ad un delirio, i ricordi non consolano, neppure il tiglio davanti al portone. In questa solitudine drammatica i sogni sembrano allucinazioni e non infondono coraggio, non c’è nessuno sulla strada di questo viandante, l’ultimo rifugio è Das Wirtshaus, il cimitero che per somma ironia viene chiamato osteria. Ormai il viandante non è più di questo mondo. La sua ultima tappa, l’incontro con il Leiermann (ma é davvero un essere umano?) che gira la ruota del suo organetto su un’armonia di quinte del basso, è un organetto a corde, ungherese, la sua musica ha la desolazione atroce di un mondo in disfacimento. Lo zerrissene Heine sembra trovare qui un saldo compagno. Che non è una figura leggendaria, ma un uomo, un poeta.

Trent’anni dopo, nelle “Note sulla mia amicizia con Franz Schubert”, Spaun raccontò di un lontano pomeriggio a casa di Schober, quando Schubert li aveva invitati promettendo di cantar loro un grande ciclo, che l’aveva coinvolto più di ogni altro:

Quel giorno ci cantò… tutta la Winterreise. L’atmosfera malinconica di quei Lieder ci aveva lasciati totalmente stupefatti. Schober affermò che gli era piaciuto solo Der Lindenbaum. Schubert gli rispose soltanto: “Io amo questi Lieder più di ogni altro e anche voi li amerete”.

Da quel momento Schubert parve esausto, senza che però il suo stato di salute desse adito a ragionevoli preoccupazioni… ma coloro che lo conoscevano bene sanno perfettamente quanto le sue composizioni lo coinvolgessero profondamente e come venissero alla luce nel dolore. Chi l’ha visto anche solo una volta la mattina mentre, occupato a comporre, con il volto infuocato e gli occhi illuminati, parlava addirittura una lingua diversa e sembrava un sonnambulo, non dimenticherà mai quell’impressione.

©Anna Rastelli
Note al programma per il concerto di Thomas Bauer e Uta Hielscher
4 febbraio 2005
Società dei Concerti – Bolzano