Un eccellente Trio Metamorphosi all’appuntamento con Beethoven
L. v. Beethoven: Trio n. 1 op.1 e Trio n.7 op. 97 „Arciduca “
Non si può quasi pensare ad un inizio più promettente che ci propone il Trio Metamorfosi. Quattro CD che usciranno tra il 2019 e il 2020, per festeggiare il 250 anniversario della nascita di Beethoven, a Bonn nel 1770. I tre musicisti Mauro Loguercio, Angelo Pepicelli e Francesco Pepicelli sono gli interpreti di una lettura acuta, profonda e assai coinvolgente.
L’arciduca Rudolph Johann Joseph Rainer era nato a Firenze nel 1788 ed era il sedicesimo e ultimo figlio di Leopold, Granduca di Toscana e della principessa Maria Ludovica di Spagna. Quando la famiglia si trasferì a Vienna era il 1790. Giuseppe II, l’illuminato imperatore del tempo di Mozart, era morto e Leopold saliva sul trono imperiale. Fu un regno di breve durata e dopo solo due anni il trono passò al ventiquatrenne figlio Franz. Franz si occupò del regno e dell’educazione dei numerosi fratelli tra cui Rodolfo, il giovane arciduca. Non si conosce con certezza la data, ma sappiamo che un giorno Rodolfo divenne allievo di Beethoven, che scrisse per il giovane allievo la parte pianistica del Triplo Concerto. Quindi, a quindici anni, il giovane allievo era già in grado di sostenere una parte solistica di consistente rilievo, che interpretò con generale soddisfazione alla presentazione che si tenne nel salotto del principe Lobkowitz. Il legame rimase sempre saldo e l’arciduca fu per Beethoven prima allievo, poi amico e poi ancora mecenate.
Un altro segno dell’amicizia tra il musicista e l’aristocratico ce lo fornisce la dedica del Concerto per pianoforte op. 58, il Quarto. Nel 1809 poi l’Arciduca firma insieme con il Principe Lobkowitz e il Principe Kinsky un impegno a versare 4000 fiorini a Beethoven per indurlo a non lasciare Vienna, cosa che il musicista non fece, nonostante la proposta di Gerolamo Bonaparte di trasferirsi in Westfalia.
Fu invece Rodolfo, a doversi allontanare da Vienna, a causa dell’invasione dei francesi. Allora Beethoven si congedò da lui con la sonata Les Adieux. Sempre nel maggio del 1809 arrivò la dedica dei due trii op. 70. In una lettera all’editore Breitkopf Beethoven scrive:
Ho avuto qualche volta l’occasione di accorgermi che, se dedico ad altri un’opera che piace a lui, ne prova un certo rincrescimento. Questi Trii gli piacciono molto e perciò non c’è dubbio che gli dispiacerebbe di nuovo se venissero dedicati ad un’altra persona.
Da quel momento le dediche all’amico sono innumerevoli, segno di un sodalizio artistico e spirituale profondo, che culminerà con la dedica della Missa solemnis, che il musicista annuncia all’amico, recentemente nominato Cardinale Arcivescovo, in una lettera del giugno del 1819:
Il giorno in cui una messa solenne composta da me verrà eseguita durante le cerimonie in onore di Vostra Altezza Imperiale, sarà il giorno più bello della mia vita…
Gli stessi sentimenti erano stati espressi da Beethoven con la dedica del Trio op. 97. Già nel marzo del 1811 aveva scritto a Rodolfo: ho cominciato a lavorare piuttosto intensamente e frutto di questa applicazione è … un nuovo Trio con pianoforte. Il Trio arrivò a destinazione pochissimo tempo dopo e la dedica durante i mesi estivi.
La presentazione del Trio, portato a termine tra i 3 e il 26 del mese di marzo, fu a casa di Schuppanzigh l’11 aprile 1814 con l’ospite stesso al violino, il compositore al pianoforte e Linke al violoncello. La presentazione pubblica avvenne al Prater nel mese di maggio e fu anche l’ultima apparizione pubblica di Beethoven in veste di pianista.
Ora il Trio op. 97 “Arciduca” entra nel primo cd inciso dal Trio Metamorphosi insieme al Primo Trio op. 1 n.1. L’Alpha e l’Omega del genere che Beethoven ha portato a conseguenze inimmaginabili.
Dunque il Trio op. 1 scritto nel segno di Haydn e eseguito per la prima volta a Vienna, apre l’integrale dei Trii, che fu presentato al pubblico in casa Lichnowsky, presente Haydn. Beethoven lo darà all’editore tre anni dopo, e la sottoscrizione per la stampa vendette 241 copie della partitura.
Si era aperta una nuova era. Il pubblico era ormai pronto a “conversation pieces” più impegnativi. L’uomo della fine del Settecento aveva appreso che era possibile prendere parte alla creazione dell’opera d’arte, a interpretarla, a renderla propria.
Da quell’inizio così promettente ad un altro inizio: l’Allegro Moderato che apre il Trio dell’Arciduca. Secondo il biografo Schindler, Beethoven stesso avrebbe confessato che questo primo tempo è pervaso unicamente di felicità, di contentezza, con un tocco di malizia e di scherzo.
L’inizio dolce del pianoforte è uno di quei momenti in cui Beethoven sembra combinare magicamente l’infinito di Schubert e il sublime di Mozart. Non c’è leggerezza musicale che non sembri appartenergli. Grandezza e nobiltà si fanno strada crescendo fino ad un trillo ed una serie di accordi che lasciano entrare in scena il violoncello, il quale, assai scenograficamente, apre la strada al cantabile del violino.
La forma è quella di sonata, bitematica, con sviluppo centrale. Il secondo tema, entra con la tonalità di sol maggiore senza troppi indugi e qui Beethoven fa sfoggio di una ricchezza di materiale e di spunti musicali davvero spettacolare. Lo sviluppo prende ispirazione dal primo tema, ma anche questo riplasmato dagli archi fino a diventare una eco del primo tema, eco che si rifrange tra gli strumenti, allargando lo spazio musicale a dismisura. Dallo quello spazio si manifesta poi una radura su cui si inseguono i pizzicati degli archi e i trilli del pianoforte e finalmente, in un paesaggio autenticamente da Naturlaut, si affaccia la ripresa.
Il secondo movimento è lo Scherzo, una pagina che prende le mosse in si bemolle maggiore, su un tema semplicissimo, grazioso e fantastico. Il violoncello danza nella tonalità mentre il violino lo intralcia conducendolo alla dominante, per poi ritornare alla tonica. Qui la danza acquista un peso maggiore grazie all’entrata del pianoforte, il dialogo si mantiene giocoso e spumeggiante. Il Trio, che non è indicato esplicitamente, si muove su un terreno dal profilo cromatico, da cui il pianoforte si libera per ben tre volte con slanci evidenti, fino a riportarci alla ripresa dello schezo.
L’Andante Cantabile, Ma Però Con Moto, in re maggiore, è un tema con variazioni. E’ il nucleo espressivo dell’intera opera, dove la felicità si dipana in mille rivi e infinite rifrazioni malinconiche, nostalgiche, o anche semplici e immateriali linee di canto, che sembrano interminabili. La musica non perde mai la sua impronta di giocosità, e il tema si rivela intimo eppure vastissimo nelle sue possibilità propositive. Beethoven esplora qui ogni genere di trasformazione, con una maestria tale, che a volte il tema sembra sospeso sopra la musica, tanto la sua presenza è immateriale.
Il Trio si conclude con l’Allegro Moderato – Presto. Si tratta di un rondò-sonata dove ogni idea ha una caratterizzazione ritmica e danzante assai chiara. Nel presto la forma di rondò prende il sopravvento e il tema/ritornello si trasforma in una tarantella, con gli strumenti che mostrano la loro forma più smagliante. Solo una pausa per riprendere fiato e poi gli strumenti si lanciano nell’ultima spettacolare volata, anche questa resa scenografica da un attimo di vertigine del pianoforte, che si ferma quasi a controllare che tutti siano d’accordo per lo scatto conclusivo.