Robert Schumann Frauenliebe und Leben op. 42
Seit ich ihn gesehen
Er, der Herrlichste von allen
Ich kann’s nicht fassen, nicht glauben
Du Ring an meinem Finger
Helft mir, ihr Schwestern
SA?AYer Freund, du blickest mich verwundert an
An meinem Herzen, an meiner Brust
Nun hast du mir den ersten Schmerz getan
Non è difficile immaginare come un musicista che aveva alle spalle una profonda conoscenza della letteratura quale era Schumann, fosse sedotto e incantato dalla poesia di Chamisso. Ci fu un periodo della vita di Schumann in cui la figura pallida e scarna di quest’uomo che aveva creato Peter Schlemil, divenne parte del suo mondo immaginario. Era il 1838, l’ultimo anno della vita di Chamisso e quello del viaggio a Vienna per Schumann.
Nobile di origine francese, Louis Charles Adelaide conte di Chamisso era nato nella Champagne. Dopo che i rivoluzionari ebbero distrutto il castello di Boncourt, la sua famiglia si trovò costretta ad emigrare in Germania. Aveva solo nove anni. Uno tra i più celebrati poeti tedeschi – sottolinea ammirato Thomas Mann – è dunque uno straniero!
Il sentirsi tedesco di Chamisso era iniziato nel 1815 quando, nominato naturalista per un viaggio nell’Oceano Indiano, aveva compreso che la patria di cui sentiva la mancanza non era la Francia. Mentre compiva il suo giro del mondo, primo europeo a contemplare le gigantesche figure dell’Isola di Pasqua, quello che non era ancora un poeta, ma stava per diventare scienziato, comprese che l’unica patria di cui avvertiva la nostalgia era quella tedesca.
Nel ciclo Frauenliebe und Leben op. 42 Schumann regala alla poesia di Chamisso una delle più geniali destinazioni. Dedicato dal poeta trentottenne alla giovanissima moglie, il ciclo ha come tema l’amore della donna. L’uomo posato, padre di famiglia, il venerato maestro, vuole parlare come il cuore della donna e lo fa in maniera che oggi pare anacronistica, traboccante com’è di estatica dedizione. Schumann traduce le idee e le parole del poeta in una trama musicale che dà corpo all’incertezza d’amore, alla gioia, alla pienezza e al dolore in una visione che travalica ogni concezione di tempo.
Se è vero quanto con geniale lucidità disse anni fa Bortolotto, che passare da Schubert a Schumann equivale a passare dal cielo alla terra, è altrettanto vero che i Lieder di Schumann dipingono l’eterno presente del nostro essere nel mondo. Fin dal primo Lied, da quel Seit ich ihn gesehen (Da quando l’ho veduto), ci accorgiamo che il tempo di Schumann è uno strano tempo, che non ha bisogno del cielo per conquistarsi l’eterno, gli basta muoversi nella vita. Quello che percepiamo nelle sue composizioni non è forse il perdurante presente della vita umana? Ciò che per qualcuno è stato, diventa l’oggi di qualcun altro e sarà il futuro presente di un altro ancora. Ciascuno di noi riconosce i momenti della propria vita nella musica di Schumann, perchè possiede la qualità di tradurre in suoni la poesia di ogni singolo istante, di quell’atmosfera quotidiana di cui tutti siamo partecipi. E tutto sa ricondurre ad una armoniosa unità di significato.
Il primo dei Lied, con la sua estatica successione di accordi, racconta l’incanto d’amore nel momento in cui si manifesta. Ancora l’amore non ha mostrato il suo pathos, ma solo la sua ferma e dominante e incantatrice forza. Piena consapevolezza della reciprocità del sentire nel secondo dei Lieder, Er, der herrlichste von allen (Lui, il più splendente di tutti), dove pianoforte e canto si alternano negli slanci melodici e spesso cantano insieme. Non sorprende ascoltare il ripetersi frequente del gruppetto, che per Schumann è la figura musicale dell’affettività d’amore. Il tempo e la storia sembrano essersi fermati ancora una volta nel terzo Lied, Ich kann’s nicht fassen, nicht glauben (Non so comprendere, – credere), dove la donna, sorpresa dalla dichiarazione d’amore, non crede alla felicità cui andrà incontro. Mai come nel momento della felicità, l’amore appare un sogno. O laß im Traume mich sterben, dice la donna, lasciatemi morire in questo sogno, come se il morire fosse la sola condizione simile all’amore, capace di fermare l’esistenza in qualcosa che può durare in eterno.
All’anello, Du Ring an meinem Finger (Tu, anello al mio dito), spetta dunque il ruolo di simbolo tangibile di amore. Nella musica si concretizza con una pervicace asserzione dell’intervallo di quinta (mi – si – mi). La quinta, che Schumann collegava al matrimonio, forma (Stricker) l’ossatura della armoniosa curva del tema e si fa risentire all’inizio di ognuna delle due strofe. Non ci sono parole per raccontare la felicità, se non quella reiterata promessa della donna che vota la propria esistenza alla felicità dell’amato.
Allora ecco arrivare i momenti dell’abbandono estatico, con Helft mir, Ihr Schwester (Datemi il vostro aiuto, sorelle), che solennizza il giorno delle nozze, mentre il pianoforte richiama il suono delle campane a festa. Con un recitativo si apre Süßer Freund, du blickest Mich verwundert an(Dolce amico, mi guardi meravigliato), in cui la donna annuncia al marito di essere in attesa di un figlio. Nella parte centrale del Lied, dove il canto si apre alla melodia, ecco sorgere dall’inconscio schumanniano l’eco dell’amata lontana di Beethoven. L’ultima strofa torna al recitativo con un’essenzialità tutta interiore. An meinem Herzen, an meiner Brust (Sul mio cuore, sul mio petto) è l’ultimo momento di felicità appagata. L’essenza terrena dell’amore prende vita con tutta la sua forza da una lirica in cui trionfano le figure retoriche, non solo la rima, ma anche i rimandi interni dell’anastrofe, du meine Wonne, du meine Lust, il chiasmo, Das Glück ist die Liebe, die Lieb’ ist das Glück, quasi a voler mettere in risalto la duplice felicità di chi non solo è felice, ma si sa felice.
L’ultimo Lied, Nun hast du mir den ersten Schmerz getan (Ora mi hai dato un dolore, per la prima volta), è il saluto, la morte dell’amato e qui Schumann affida il commiato al pianoforte con gli accordi della pagina iniziale. Quando la voce ammutolisce, il resto del mondo tace e il poeta parla, come nella conclusione delle Kinderszenen. Racchiuse in questa cornice pianistica, la storia e la musica raccontano del divenire e del dileguarsi e il ciclo si conclude lasciando da parte l’ultima lirica di Chamisso che nel ciclo poetico lasciava il congedo alla donna ritratta nella sua tarda età, che racconta e ricorda a se stessa e a noi la vita e l’amore.